Asia-Pacific Migration Report 2015
Asia-Pacific Migration Report 2015: Migrants’ Contributions to Development
di Francesco Vecchio
Il 29 Febbraio 2016 è stato presentato a Bangkok, dal vice segretario esecutivo del United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific, il rapporto Asia-Pacific Migration Report 2015: Migrants’ Contributions to Development. Il rapporto è stato redatto dal Gruppo di lavoro tematico dell’RCM della regione asiatica e pacifica sulle migrazioni internazionali, che comprende 15 agenzie delle Nazioni Unite.
Il rapporto è suddiviso in cinque capitoli che presentano il trend migratorio generale nella regione, il contributo economico delle migrazioni e alcuni suggerimenti su come aumentare l’apporto positivo delle migrazioni per lo sviluppo della regione.
Dal rapporto emerge l’idea che le migrazioni siano ormai un fattore strutturale nella regione e che il numero di migranti aumenterà in considerazione della crescente domanda di manodopera straniera specializzata, o a basso costo, e l’offerta di forza lavoro da parte di un numero sempre più consistente di persone ormai consapevoli delle opportunità disponibili in paesi diversi da quello d’origine. Nel 2013, nella regione c’erano circa 59 milioni dei 231,5 milioni di migranti nel mondo. Di questi oltre 95 milioni provenivano dai paesi nella regione Asiatica e Pacifica, ovvero il 50% in più rispetto alla stessa stima nel 1990.
Il flusso migratorio più consistente è senza dubbio quello per motivi di lavoro, generalmente temporaneo. Ad esempio, il rapporto indica come ogni anno quasi due milioni di filippini lascino il paese natale per lavorare all’estero. Tuttavia, nel 2013 c’erano solo 5,4 milioni di filippini all’estero, il che denota la circolarità del flusso migratorio. L’India era il paese col più alto numero di cittadini che lavoravano all’estero nel 2013, ovvero oltre 14 milioni. Seguono la Russia (10 milioni), la Cina (9,3 milioni), il Bangladesh (7,7 milioni) e il Pakistan (5,6 milioni). Molti di questi paesi sono anche importatori di manodopera, come la Russia (oltre 11 milioni), seguita dall’Australia, India, Pakistan, Tailandia, Kazakistan e Cina.
La maggior parte dei flussi per lavoro sono regolati tra Stati. Tuttavia rimane consistente la presenza di irregolari che non viaggiano attraverso i canali ufficiali preposti alla loro mobilità e assunzione. Questo accade perché la mobilità intra-regionale, e dalla regione verso altri continenti, è regolata da agenzie private, le quali non sono sempre capaci di operare nella regolarità o non sono interessate al movimento regolare dei loro assistiti. Le migrazioni irregolari possono infatti bypassare regimi migratori ufficiali troppo restrittivi e i relativi costi della domanda. Tali considerazioni possono influire anche sulla natura dei flussi oltre che sulla loro legalità, come nel caso di quanti viaggiano per motivi di lavoro che però vengono classificati come rifugiati, migranti per motivi di matrimonio, o studenti internazionali.
Uno dei problemi maggiori emersi dal rapporto è che molti dei paesi di destinazione dei flussi per lavoro non permetto il ricongiungimento familiare, mentre alcuni, come la Corea, limitano la permanenza dei lavoratori stranieri a un determinato numero di anni prima che questi debbano lasciare il paese. Per quanto riguarda il genere delle migrazioni, questo dipende da due fattori principali, ovvero le restrizioni imposte dai paesi di origine alle migrazioni femminili, e il tipo di lavoro da effettuare nei paesi di destinazione. Gli uomini per esempio sono impiegati principalmente nell’edilizia e i trasporti, mentre le donne lavorano nella cura della persona e nel settore domestico. Interessante è l’esempio del Bangladesh, che da quando ha eliminato le restrizioni al lavoro femminile, il contributo delle donne al volume migratorio del paese è cresciuto dal 2,3% nel 2007 al 13,8% nel 2013.
L’apporto principale di questo studio è fornito dai dati che dimostrano il contributo economico delle migrazioni, sia per i migranti, sia per i paesi di destinazione e origine delle migrazioni. In Malesia, per esempio, l’assunzione di manodopera a basso costo straniera ha permesso ai locali di specializzarsi e accedere a lavori qualificati e meglio remunerati. Le politiche migratorie di ogni singolo paese possono tuttavia incidere sull’apporto delle migrazioni. In Tailandia infatti le migrazioni contribuiscono al PIL, ma hanno un’incidenza negativa sull’agricoltura locale.
Infine, il rapporto fornisce una guida ai passi che i paesi, le organizzazioni regionali e la società civile potrebbero adottare per migliorare tale contributo, in particolare se i diritti dei migranti e il loro accesso alla protezione sociale e a un lavoro dignitoso fossero maggiormente garantiti.
PER CONSULTARE IL RAPPORTO CLICCA QUI.