Tanti modi di essere mamma
Comunicato stampa Fondazione Ismu
TANTI MODI DI ESSERE MAMMA
Nel variegato universo dell’immigrazione femminile
Milano, 12 maggio 2017
Nella società contemporanea, sempre più “plurale”, anche le mamme sono cambiate e vi sono modi diversi di interpretare questo ruolo. L’immigrazione, specchio fedele delle nostre società, ce ne offre un eloquente spaccato.
Se sono le donne ad avere inaugurato la transizione migratoria dell’Italia e a continuare a esserne le indiscusse protagoniste (arrivando a contare il 52,6% degli stranieri residenti in Italia e il 52,3% di quelli provenienti da paesi a forte pressione migratoria), sono però le donne-madri a interpretare, nel modo più autentico, le fatiche e le speranze che accompagnano la migrazione e sono sempre loro, come ci insegna l’esperienza di molti altri Stati, a rappresentare l’anello “strategico” dei processi di integrazione. Sia per la loro opera di mediazione, sia perché vittime più o meno consapevoli di culture patriarcali, sia ancora perché protagoniste di gesti di rottura, per loro e per le loro figlie.
In base alle elaborazioni della Fondazione ISMU sull’ultima indagine dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità (ORIM), in Lombardia vivono 370mila madri provenienti da Paesi a forte pressione migratoria. Si tratta, scorrendo l’elenco delle nazionalità più numerose, di madri provenienti in particolare da Romania, Marocco, Albania, Ucraina, Cina, Ecuador, Egitto, Perù, Filippine, India, Pakistan e Moldova.
Ma, al di là del dato numerico, occorre prestare attenzione alla pluralità dei modi di essere mamma in emigrazione. E se è vero che il paese di provenienza certamente non esaurisce la varietà e la ricchezza delle esperienze personali, è altrettanto evidente come quest’ultimo “spieghi”, almeno in parte, le differenze osservate nell’universo migratorio.
Facendo “parlare i dati” si possono individuare, tra i molti, questi quattro modelli paradigmatici.
- Il profilo più “tradizionale” è quello delle mamme d’origine egiziana. Casalinghe in oltre otto casi su dieci, praticamente nessuna con un lavoro “vero”, e con un numero medio di figli (3, di solito tutti in Italia) particolarmente elevato se si considera il contesto italiano contemporaneo. A rafforzare il profilo tradizionale vi è il fatto che, in 9 casi su 10, queste donne vivono col partner, i figli, e altri parenti. A caratterizzare questo gruppo è soprattutto la totale marginalità al mercato del lavoro retribuito, anche per quelle che vivono in Italia da oltre 10 anni o addirittura vi sono nate (casalinghe in 7 casi su 10). E ciò nonostante ben oltre la metà abbia una scolarità elevata, e il 21,4% addirittura un titolo universitario.
- Il secondo caso paradigmatico è quello delle donne cinesi, “bread winner” a tutti gli effetti, se si considera che non soltanto la grande maggioranza lavora, ma anche che una quota significativa (più alta che in tutte le comunità immigrate) si definisce lavoratrice autonoma (17,4%) o addirittura imprenditrice (9,8%). A distinguere questo gruppo è ancora più il fatto che nessuna svolge uno dei classici “lavori da immigrata”, poiché i settori di impiego sono quelli del commercio, dell’industria e della ristorazione, ovvero quei comparti che caratterizzano l’economia “etnica” di origine cinese. Il loro reddito medio mensile risulta nel 2016 di 1.091 euro al mese, il 12% in più della media fra tutte le mamme straniere lavoratrici (pur con una variabilità maggiore, con guadagni mensili che vanno dai 250 ai 2.000 euro). Mediamente hanno 1,79 figli e poco meno di uno su quattro dei figli non vive in Italia, dando corpo al fenomeno delle famiglie transnazionali.
- Il terzo caso è quello delle mamme sole. L’“archetipo” di questa figura di migrante è quella delle donne ecuadoriane che, in circa il 20% dei casi, vivono sole con i loro figli (a volte con qualche altro parente), oppure hanno lasciato i figli nel paese d’origine (in poco meno di un quarto dei casi). Impiegate nei lavori più umili, occupate per lo più come domestiche e addette alle pulizie – nonostante il loro livello di istruzione che le vede, in oltre i due terzi dei casi, avere raggiunto un diploma di scuola media superiore – guadagnano mediamente 880 euro mensili, anche per la significativa incidenza delle lavoratrici part-time.
- Infine, vi è il caso delle mamme “nonne”, giunte dall’Ucraina. Sono quelle di età più matura (l’età media è 46 anni) e sono tra le immigrate meno prolifiche (solo 1,68 figli a testa come valore medio), ma soprattutto le più propense a migrare da sole. La grande maggioranza dei figli (verosimilmente non giovanissimi) non vive in Italia e in circa la metà dei casi queste donne vivono sole, generalmente presso l’abitazione del datore di lavoro, atteso che in oltre la metà dei casi queste donne sono occupate come assistenti domiciliari. Si può anzi ritenere che, pur trattandosi di un flusso migratorio più recente di molti altri, esso è riuscito, in un breve lasso di tempo, a connotare questo mestiere, nonostante la sua evidente incoerenza rispetto alla dotazione di capitali formativi (il 54,4% ha completato la scuola secondaria superiore, il 15,9% l’Università). Negli altri casi si tratta di collaboratrici domestiche (26% sommando le domestiche fisse e quelle a ore) o di addette alla ristorazione (11,1%). Ma, come un’ormai abbondante serie di ricerche ci insegna, sappiamo che è proprio guardando al benessere dei figli (e dei nipoti) che queste donne hanno deciso di migrare, nonostante i costi di questa scelta in termini di declassamento professionale e di lontananza dalla famiglia e dagli affetti.
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Commento a cura di Laura Zanfrini, Responsabile Settore Economia e Lavoro della Fondazione ISMU.
Elaborazioni su dati ORIM a cura di Alessio Menonna, Settore Monitoraggio statistico della Fondazione ISMU.
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