Transnazionali, angeli del focolare o mamme come le nostre?
Comunicato Ismu per la Festa della Mamma 2016
Transnazionali, Angeli del focolare o Mamme come le “nostre”?
I volti delle mamme immigrate in Lombardia
(a cura di Laura Zanfrini, responsabile Settore Economia e Lavoro
laura.zanfrini@unicatt.it[1])
La femminilizzazione rappresenta, certamente, uno dei tratti caratteristici delle migrazioni nell’età contemporanea. Oggi le donne rappresentano circa il 50% dei migranti internazionali, il 50,2% degli immigrati nell’Unione Europea (con i numeri più elevati in Germania, Italia e Gran Bretagna), il 53% in Italia, il 50% in Lombardia.
Ma a catalizzare l’attenzione su questa componente dell’immigrazione contemporanea non è solo la loro consistenza, bensì il loro ruolo ritenuto cruciale da molti punti di vista. Le donne migranti, infatti, evidenziano una propensione al lavoro per il mercato che sconfessa le rappresentazioni stereotipate, e spesso si trovano a svolgere il ruolo di principale breadwinner della famiglia (è il caso, in particolare, di quelle che qui chiameremo le mamme transnazionali), e producono e amministrano il più importante flusso di denaro diretto verso i Paesi a forte pressione migratoria. Molte di queste sono mamme e riescono, sia pure pagando un prezzo molto alto sul fronte degli affetti e della qualità di vita personale, a “conciliare” – ma il verbo non è forse il più adeguato – il ruolo di madre con quello di lavoratrice.
Accanto ad esse, lo scenario migratorio contemporaneo registra anche la presenza di madri più vicine al profilo tradizionale delle donne al seguito dei mariti, angeli del focolare dedite alla cura della famiglia, ai margini del mercato del lavoro e a volte anche della vita sociale. In alcuni paesi europei, è proprio su di esse che si concentrano le preoccupazioni per l’integrazione, tanto da spingere al varo di provvedimenti che subordinano la possibilità di ricongiungimento familiare al superamento di test di lingua e “integrazione”. Proprio per il ruolo che rivestono nell’educazione dei figli, sono sempre più spesso rappresentate come attori cruciali nel processo di trasmissione intergenerazionale dei valori e degli atteggiamenti, e nello stesso processo di integrazione nella società ospite.
Infine, la maggioranza delle mamme migranti ha un profilo molto simile a quello di tutte le altre mamme della stessa età, sia pure con una propensione a procreare moderatamente superiore alla media. Giovani donne che vorrebbero, senza sempre riuscirci, conciliare l’impegno lavorativo con quello familiare.
Nella regione Lombardia, dove da ormai più di dieci anni è attivo un sistema di monitoraggio unico nel suo genere, con riferimento alle donne provenienti da Paesi a forte pressione migratoria:
- Il 49% vive in una famiglia «normale», con partner e figli
- L’11% vive sola o presso la casa dei datori di lavoro
- Il 9% vive da sola coi figli
- Hanno mediamente 1,5 figli (ma la carriera riproduttiva ancora non è terminata)
- L’80% dei figli vive in Italia, il 20% all’estero
- Il 57% dei figli è nato in Italia
- Un quarto non ha nessun figlio, un quarto ne ha solo uno, il 5% ne ha 4 o più.
Tra queste abbiamo selezionato, in occasione della Festa della Mamma, quante appunto sono mamme: la nostra stima, calcolata sulla base dei dati di indagine 2015 dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multi etnicità (www.orimregionelombardia.it), è di 316mila mamme provenienti da Paesi a forte pressione migratoria in Lombardia al 1° luglio 2015, nell’ordine rumene (40mila), albanesi (31mila), marocchine (28mila), ucraine (26mila), non raramente queste ultime con i figli al Paese d’origine), peruviane (19mila) e filippine (18mila) e presenti nelle province di Milano (38%) e Brescia (16%) in numeri assoluti maggiori.
Attraverso un’ulteriore procedura di selezione, in base a variabili relative alla condizione familiare e a quella professionale, abbiamo posto l’attenzione su tre principali profili – dei tanti – di mamme immigrate:
– le mamme “transnazionali”: con figli solo fuori dall’Italia, che lavorano a tempo pieno con un contratto a tempo indeterminato (oppure come lavoratrici autonome o imprenditrici): sono circa 36mila in Lombardia;
– le mamme “angeli del focolare”: con figli solo qui, casalinghe che vivono col proprio marito/partner e non cercano lavoro: sono circa 49mila in Lombardia;
– le mamme “come le nostre”: con figli solo qui, con un lavoro o alla ricerca di lavoro, che vivono col proprio marito/partner: sono circa 123mila in Lombardia.
LE MAMME “TRANSNAZIONALI”
Le mamme transnazionali, per quanto ormai minoritarie (poco più di una mamma immigrata su dieci) costituiscono il volto più tipico dell’immigrazione in Italia; quelle certamente che più hanno catalizzato in questi anni l’attenzione dei ricercatori, via via che è cresciuta la consapevolezza per il problema delle famiglie divise dalla migrazione e per la questione dei c.d. left behind children, i figli che “rimangono indietro”, nel paese d’origine. Non si tratta, certamente, di un fenomeno del tutto inedito nella storia delle migrazioni. Tuttavia, esso ci appare oggi con un volto nuovo, sia per le dimensioni che ha raggiunto (solo in Lombardia, sono oltre 36mila le mamme transnazionali), sia perché a esserne coinvolte sono oggi anche madri di età relativamente avanzata (si parla infatti ormai di “migrazione delle nonne”), che si auto-investono di un impegnativo mandato familiare, trasferendosi all’estero per un certo numero di anni, così da offrire ai figli e ai nipoti la possibilità di studiare, acquistare un casa, realizzare i propri progetti. Infatti, oltre l’85% ha superato la soglia dei 40 anni, il 35% quella dei 50, e il 15% quella dei 55. L’età media è di 46 anni, ovvero circa 10 anni di più rispetto alle altre mamme immigrate. Pochissime le neo-arrivate: il 97% è in Italia da almeno cinque anni, un dato che sembrerebbe dimostrare come i nuovi arrivi si siano decisamente ridimensionati anche per questo specifico volto dell’immigrazione. A egemonizzare il collettivo delle mamme transnazionali sono sicuramente le ucraine (il 42,4% di tutte le mamme ucraine appartiene a questa categoria), seguite da filippine, moldove, peruviane e rumene. Ciò spiega anche perché la maggioranza assoluta dichiari di appartenere alla tradizione cristiana ortodossa (53%) e a quella cattolica (38,4%), mentre le musulmane sono solo l’1,6%.
Poco meno della metà delle mamme transnazionali vive nella provincia di Milano. Poco meno dei due terzi vivono presso il luogo di lavoro (quasi sempre una famiglia), e circa un quarto in una casa in affitto; praticamente nessuna è proprietaria della casa in cui vive. Infatti, oltre l’80% delle mamme transnazionali è occupata come assistente familiare o come domestica (in genere fissa, molto più raramente a ore), ovvero in quello che da sempre costituisce, per le donne migranti, la “porta di ingresso” sul mercato del lavoro italiano, e che proprio per le sue caratteristiche incontra la disponibilità soprattutto delle donne che migrano da sole, lasciandosi alle spalle i figli e gli altri familiari.
Quasi la metà ha due figli, un terzo uno soltanto e la parte restante 3 o 4. In alcuni rari casi i figli sono nati in Italia, ma non convivono con la madre che, nei due terzi dei casi, vive sola (o, più precisamente, insieme alla datrice o al datore di lavoro), e nel 14% dei casi con amici e conoscenti.
Il reddito mediano è di 1.000 euro netti, a fronte però di un impegno lavorativo particolarmente oneroso che, nella grande maggioranza dei casi, supera ampiamente le canoniche 40 ore settimanali: la maggioranza assoluta lavora più di 50 ore, e oltre una su quattro addirittura più di 60. Rapportando il reddito mensile alle ore di lavoro, emerge come il guadagno medio orario sia inferiore ai 6 euro. Anche computando il costo complessivo per i datori di lavoro, più elevato rispetto a quanto percepito dalla lavoratrice, è inevitabile concludere che ben difficilmente sarebbe possibile organizzare la cura attraverso soluzioni alternative ma con costi ugualmente competitivi.
Non è però irrilevante (15%) la quota di coloro che raggiungono un reddito pari o superiore a 1.500 euro. La capacità di risparmio di queste donne (che, come abbiamo visto, nella maggior parte dei casi possono comprimere le spese personali grazie al fatto di convivere coi datori di lavoro) è dunque considerevole, sebbene addirittura l’80% affermi che la propria famiglia non sarebbe in grado di sostenere una spesa imprevista di 800 euro. Certo non sorprende constatare come questo sia il gruppo con la più elevata propensione al risparmio. La maggioranza assoluta invia personalmente almeno 400 euro al mese; più di un terzo almeno 500; quasi un quarto almeno 600 e più di una su 10 almeno 700 euro. Se lo rapportiamo al livello di reddito, mediamente il 38% se ne va in rimesse.
Infine, più di 6 su 10 ha almeno un diploma di scuola superiore, e il 10% ha raggiunto un’istruzione di livello universitario. Queste lavoratrici tendono a valutare abbastanza positivamente il loro livello di conoscenza della lingua italiana: su una scala da 1 (per niente) a 5 (molto bene), le risposte si addensano attorno al punteggio 4 e 5 sia per quanto riguarda la capacità di comprensione, sia per quella di parlare e leggere; decisamente più modeste sono invece le abilità nella scrittura, la cui acquisizione non è certamente agevolata dal tipo di collocazione occupazionale prevalente.
LE MAMME “ANGELI DEL FOCOLARE”
Quasi 50mila in Lombardia sono le mamme immigrate “angeli del focolare”. Un profilo tipico soprattutto delle province di Bergamo e Brescia (province che in secondo luogo assieme alla città di Milano e alla provincia di Varese arrivano a rappresentare oltre il 60% delle mamme di questa categoria in Lombardia).
Provengono dal Marocco (19,8%), dall’India (16,6%) e dall’Egitto (10,8%). Nell’ambito dei gruppi caratterizzati da un modello tradizionale di divisione del lavoro tra i generi, la quota di “angeli del focolare” si fa addirittura maggioritaria: tra le indiane e le bangladeshe ancor più che tra marocchine, egiziane e pakistane. Due terzi delle mamme indiane in Lombardia (per la precisione il 64%) ricade infatti nella categoria “angeli del focolare”, contro una media fra tutte le cittadinanze che è di meno di una su sei. Così come è “angelo del focolare” il 49% delle bangladeshe. Egiziane e marocchine ricadono invece in questa categoria nel 29% dei casi, comunque più di pakistane (24%) e srilankesi (19%), nazionalità che si collocano al di sopra della media generale. Si tratta, paradossalmente, delle immigrate più giovani (36 anni l’età media, ma in oltre 4 casi su dieci tra i 20 e i 29 anni), che concorrono ad alimentare il fenomeno dei NEET, giovani che non studiano né lavorano, particolarmente numerosi nelle fila dell’immigrazione. In più della metà dei casi si tratta di donne musulmane, cui poi si aggiunge una quota di sikh (11,6%), buddiste (6%) e induiste (5,6%). Vi è comunque una certa percentuale di cattoliche (10%) e ortodosse (5,2%).
Hanno un’anzianità media di presenza in Italia ultradecennale, ciò che le rende candidate ad acquisire la cittadinanza italiana, anche se solo l’1% è nata in Italia e solo il 3% vi è giunta prima dei 6 anni di età, solo il 7% da minorenni, in più larga misura tra i 18 e i 25 anni.
Si tratta indubbiamente del collettivo più debole dal punto di vista del capitale umano. Il 4% è addirittura analfabeta, il 6% sa appena leggere e scrivere ma non ha alcun titolo di studio, mentre il 18,3% non è andato oltre la scuola primaria. “Spicca”, inoltre, la scarsa conoscenza della lingua italiana: un quarto dichiara di non essere per niente in grado di leggerla, e il 34,6% di scriverla; ed una minoranza ritiene comunque di avere una conoscenza medio-alta anche per quel che riguarda la capacità di comprendere e parlare l’italiano.
Nonostante la giovane età queste mamme hanno un numero medio di figli più elevato delle altre: il 45% almeno 3, il 15% almeno 4, la maggioranza dei quali nati in Italia e in larghissima prevalenza minorenni. Le angeli del focolare vivono all’interno di nuclei familiari discretamente numerosi (composti da 4, 5 o anche 6 persone) e godono di un reddito familiare pari a 1.500 euro, evidentemente modesto se si considera il numero dei componenti la famiglia. Ciò nondimeno, in circa un quarto dei casi una somma, pur modesta (50, 100, 150, massimo 200 euro mensili) viene inviata al paese d’origine.
LE MAMME “COME LE NOSTRE”
Infine, la maggioranza delle mamme venute da altrove sono mamme “mamme come le nostre” – o per meglio dire come la gran parte delle mamme lombarde – della medesima età. Vivono all’interno di una famiglia “tipica”, formata dai due partner e da uno più figli che abitano insieme sotto lo stesso tetto, e concorrono (o, per meglio dire, vorrebbero concorrere) alla produzione del reddito familiare attraverso il loro lavoro per il mercato. Si tratta del 39,1% delle mamme immigrate in Lombardia, il 43,3% delle quali vede però disatteso il proprio desiderio di lavorare, e si dichiara pertanto disoccupata.
La metà ha un’età compresa tra i 30 e i 40 anni (l’età media è di 37 anni), mentre un terzo ha superato i 40 anni e praticamente nessuna ha ancora raggiunto l’età della pensione. La quota preponderante (45,2%) ha due figli, e il 33,2% uno soltanto, mentre nessuna ha più di quattro figli; si tratta, nella maggior parte dei casi, di figli ancora minorenni. Nel 12% dei casi, oltre al partner e ai figli, il nucleo familiare convivente vede la presenza di altri parenti.
L’impegno lavorativo di queste mamme è in genere di tipo parziale, non oltre le 24 ore settimanali, circostanza che le mette in grado di guadagnare un reddito mediano molto modesto, pari a 650 euro (netti) al mese (il reddito medio è di poco più alto). D’altro canto, la loro collocazione lavorativa le vede ampiamente concentrate nei classici profili da immigrata: il 28% è domestica a ore (sommando anche le assistenti domiciliari e le domestiche fisse si arriva ad oltre un terzo); il 15,5% è addetta alle pulizie; l’11,5% è addetta alla ristorazione; solo 1 su 10 è approdata a un lavoro almeno impiegatizio.
Provengono da un lunghissimo elenco di Paesi ma, in particolare, da Albania (16%) e Romania (14,6%) e, sorprendentemente, anche dal Marocco (12,3%) e dall’Egitto (7,9%), a dimostrazione di come le esigenze economiche della famiglia rendono flessibili gli stessi ruoli di genere. Di fatto, il 40% delle mamme marocchine e il 49% delle mamme egiziane che vivono in Lombardia può essere ricondotto a questo profilo, con un peso dunque decisamente prevalente rispetto a quello delle mamme angeli del focolare.
La loro presenza si concentra in particolare nella provincia di Milano (20,4%) e nel territorio di Brescia e provincia (19,4%), ovvero laddove il processo di stabilizzazione è maggiormente consolidato e, a seguire, nel Comune di Milano (14,3%), e nei territori di Bergamo e provincia (9,8%) e Monza e Brianza (8,7%).
L’alto grado di stabilizzazione è attestato dalla condizione abitativa, che vede il 50,9% abitare in casa in affitto, e il 29,8% in una casa in proprietà. Significativa (12,1%) anche la quota di locatarie dell’edilizia residenziale pubblica. Il reddito mediano del nucleo familiare è però abbastanza modesto, pari a 1.500 euro (in meno di un quarto dei casi si raggiungono i 2.000 euro); di fatto, il 71,6% dichiara che si troverebbe in difficoltà se dovesse sostenere una spesa improvvisa.
D’altro canto, proprio perché si tratta di una componente dell’immigrazione decisamente stabilizzata, la propensione all’invio di rimesse al paese d’origine è molto contenuta; in oltre i 2/3 dei casi non inviano alcun risparmio e per il resto ci si limita a inviare attorno ai 100 euro mensili (dato comunque significativo, perché indica che per molti immigrati il senso del dovere verso la famiglia d’origine non viene meno nemmeno dopo che si sia formata una propria famiglia nucleare).
Si tratta del gruppo comparativamente più dotato dal punto di vista dei capitali umani: spicca in particolare l’elevata quota di laureate (14,5%) e diplomate (37,7%), cui va aggiunto un ulteriore 10,8% in possesso di una qualifica professionale. E si tratta del gruppo di mamme decisamente più integrate dal punto di vista linguistico. In una scala da uno a cinque, dove uno si riferisce a un livello nullo e cinque a “molto bene”, scelgono il punteggio massimo il 45,5% (capisco l’italiano), il 33,3% (parlo l’italiano), il 23,3% (leggo) e il 18,9% (scrivo). Il 41,6% si dichiara musulmana, il 27,4% cristiana cattolica e il 20,2% cristiana ortodossa.
Ben oltre la metà vive in Italia da oltre 10 anni, e dunque ha ormai raggiunto l’anzianità di residenza necessaria per richiedere la cittadinanza italiana.
IL RICORSO AI CONSULTORI FAMILIARI
“Le mamme come le nostre” manifestano una elevata conoscenza della rete dei servizi. Solo il 2,6% dichiara di non sapere cos’è un consultorio familiare e addirittura il 56,7% vi si è recata almeno una volta nel corso degli ultimi due anni. Il motivo prevalente è quello della visita ginecologica (in quasi 3 casi su 4) e, a seguire, per ragioni connesse con una gravidanza (in oltre 1 caso su 3). Una minoranza vi ha frequentato un corso di preparazione al parto, o vi si è recata per motivi di contraccezione.
Anche le mamme “angeli del focolare” mostrano peraltro una buona integrazione nella rete dei servizi. Solo il 4,2% non conosce i consultori, e ben il 52,7% vi si è recata negli ultimi due anni. È però significativo osservare come, in questo caso, sia la gravidanza a costituire la prima ragione di frequentazione del consultorio (quasi 6 mamme su 10 angeli del focolare l’hanno frequentato per questo motivo negli ultimi due anni), con un’incidenza addirittura superiore a coloro che vi si sono recate per una visita ginecologica (55%), mentre solo il 9% vi si è recata per ragioni attinenti la contraccezione. Emerge dunque come la gravidanza costituisca una importante occasione per un primo contatto con queste immigrate che, come abbiamo visto, sono spesso poco istruite e non in grado di parlare correntemente l’italiano.
Sono invece le mamme “transnazionali”, per varie ragioni, le più marginali alla rete dei servizi italiani. Addirittura il 16,2% dichiara di non sapere cos’è un consultorio familiare – un dato che stride con il loro livello d’istruzione – e solo il 26% ha avuto modo di recarvisi negli ultimi due anni. Nessuna lo ha fatto per ragioni di gravidanza – se non, in pochissimi casi, per interromperla volontariamente –: un dato che certamente ha a che vedere con l’età più matura, ma che al tempo stesso conferma come questo profilo di madre lavoratrice sia sostanzialmente incompatibile con una vita familiare “normale”. L’unico motivo per il quale questa categoria di donne si reca al consultorio è la visita ginecologica (il 91% di chi si è rivolto al consultorio fra le transnazionali ha addotto questo come motivo, unico o più raramente assieme ad altri).
Contatti
Per un commento generale ai dati:
prof.ssa Laura Zanfrini (laura.zanfrini@unicatt.it; 335.5395696)
(Responsabile Settore Economia e Lavoro)
Per un approfondimento del tema della maternità transnazionale:
prof. Giovanni Giulio Valtolina (giovanni.valtolina@unicatt.it; 335.8744906)
(Responsabile Settore Minori e Famiglia)
Per un approfondimento del tema dell’accesso ai consultori:
prof.ssa Lia Lombardi (l.lombardi@ismu.org; 333.4561317)
(Collaboratore Settore Salute e Welfare)
Per ulteriori elaborazioni statistiche dei dati e altri dati ORIM:
dott. Alessio Menonna (a.menonna@ismu.org; 347.0466477)
(Collaboratore Settore Monitoraggio Statistico)
Per informazioni
Ufficio stampa Fondazione Ismu
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ufficio.stampa@ismu.org – www.ismu.org
[1] Elaborazioni statistiche di Alessio Menonna, a.menonna@ismu.org.