I minori stranieri di seconda generazione sono chiamati a una serie di “sfide evolutive”, in quanto hanno la necessità di confrontarsi con un contesto culturale e sociale diverso da quello della famiglia d’origine. Sfide il cui esito permette di giungere a forme più o meno adeguate di adattamento e che naturalmente subiscono modulazioni anche rilevanti a seconda della tradizione culturale in cui si concretizzano. I minori immigrati di seconda generazione si trovano, infatti, come tutti coloro che vivono quotidianamente in contesti sociali e culturali diversi, a presentare aspetti diversi di sé a seconda dei contesti e degli interlocutori con cui interagiscono. Se questa è una condizione comune a tutti gli individui, essa assume significati particolarmente forti nel caso di soggetti con riferimenti culturali e sociali multipli. Cambiando e scambiando contesti e interlocutori non saranno solo i comportamenti a subire modificazioni, ma anche i criteri di categorizzazione sociale. Dunque, la sfida di un minore immigrato di seconda generazione non sarà soltanto quella di conservare un sentimento di integrità, ma sarà anche quella di riuscire a considerare in continuità, e quindi compatibili, le diverse possibilità di espressione di sé, seppur in presenza di codici culturali differenti. Questi minori sono sottoposti ad un duplice processo di acculturazione e socializzazione che determina, tra l’altro, quella che diversi studiosi hanno definito “una lacerazione dell’Io”, diviso tra istanze culturali e affettive in forte conflitto: quelle di cui sono portatori i genitori e quelle di cui sono portatori gli autoctoni. Se una contrapposizione tra famiglia e società è analogamente riscontrabile anche in gran parte dei coetanei non migranti, nel caso del minore straniero tale contrapposizione si trasforma spesso in uno scontro tra due mondi nettamente differenziati – per lingua, cultura e valori – tra i quali la comunicazione e lo scambio sono minimi, oppure eccessivamente marcati da reciproci pregiudizi. Al minore è affidato il difficile compito di trovare – spesso da solo – una soluzione di mediazione tra questi due universi, che, tra l’altro, tendono a proporre modelli d’identità etnica non sempre adeguati rispetto ad un percorso di costruzione di una personalità adulta equilibrata e ben inserita nel contesto sociale in cui si trova a vivere. Alcuni studiosi hanno legittimamente sottolineato come un’analisi basata sulla contrapposizione tra diverse istanze culturali, come quella qui accennata, rischia di essere eccessivamente schematica, poiché è estremamente difficile sostenere l’esistenza di un’unica identità etnica presente nel paese d’arrivo o in quello di partenza. Se così fosse, però, si dovrebbe anche sostenere che l’identità è sempre “multiculturale” o plurima e che quindi il minore straniero non dovrebbe avere eccessive difficoltà di adattamento e integrazione.
Tuttavia, risulta altrettanto evidente che vi siano confronti etnici più significativi di altri, e ciò vale soprattutto nei casi in cui le distanze geografiche e culturali, o anche le differenze somatiche, sono maggiori. In questo ambito, il minore straniero di seconda generazione tenta allora di ricomporre le lacerazioni che si trova a vivere, adottando soluzioni che dipendono dai molteplici fattori che intervengono nelle complesse relazioni che si instaurano tra i vari attori coinvolti nei processi di sviluppo: il minore straniero, la sua famiglia, la società di partenza, la società d’arrivo, la comunità di connazionali presenti nel paese d’arrivo, i parenti rimasti nel paese di emigrazione. Le seconde generazioni nate dall’immigrazione rappresentano comunque una delle questioni più rilevanti nel panorama contemporaneo, non solo per la peculiarità dei loro percorsi di sviluppo individuale, ma anche perché esse costituiscono una risorsa e al contempo una sfida per la coesione sociale. Del resto, come sottolinea Laura Zanfrini , è proprio sulle seconde generazioni che, negli ultimi anni, si è progressivamente spostato il focus dell’analisi dei processi di integrazione. La migrazione familiare, infatti, ha rappresentato, negli ultimi decenni, il principale canale d’ingresso in Europa. Di qui l’interesse per questo fenomeno, che ha trasformato profondamente il significato dell’immigrazione per le società occidentali d’accoglienza, cambiando nel tempo le caratteristiche somatiche, etniche e religiose della popolazione residente. Diversamente da quanto avviene nelle migrazioni da lavoro, pianificate formalmente in risposta alle necessità del mercato del lavoro, quelle di carattere familiare costituiscono di fatto un processo incontrollabile, nonostante i molti tentativi per frenarle, in quanto il diritto dei lavoratori stranieri a ricostituire l’unità del proprio gruppo familiare viene considerato in Occidente un diritto inalienabile. Le sfide che l’esperienza delle seconde generazioni pongono alle società europee sono sfide quindi “inedite”, per la loro storia e la loro cultura giuridica, riassumibili nella necessità di confrontarsi con la diversità. Ma occuparsi di seconde generazioni è un impegno tanto necessario quanto gravoso, che impone anche di liberarsi da una serie di questioni che riguardano i primomigranti, quasi sempre caratterizzate dall’urgenza. Al contempo, però, non si può non tener presente che il processo di integrazione di questi minori dipende molto dalle modalità con cui i loro genitori fanno il loro ingresso nelle società europee e dalle trasformazioni – sempre più rapide – che coinvolgono i Paesi d’accoglienza. Molte esperienze internazionali mostrano, come sottolinea Maurizio Ambrosini , che le seconde generazioni sono un snodo strategico. La qualità della convivenza, la segmentazione o meno della società su basi di appartenenza etnica, il rischio di formazione di sacche di emarginazione e di manifesta devianza, la possibilità di arricchimento del dinamismo economico e culturale sono in ampia misura legati alle condizioni di vita che vengono offerte alle seconde generazioni e alle opportunità di promozione sociale che incontrano.