L’allargamento dell’Unione e le radici lontane della Brexit

di Livia Ortensi

L’estate 2016 è stata caratterizzata da un altro avvenimento di primaria importanza rispetto al quale il tema delle migrazioni ha giocato un ruolo da protagonista. È questo l’esito del referendum che porterà in tempi brevi il Regno Unito a lasciare l’Unione Europea. Senza dubbio, parafrasando un recente articolo di Livi Bacci (2016) nella Brexit la demografia c’entra. Non solo per le attitudini di voto molto differenti tra generazioni osservate in occasione del referendum (Blangiardo, 2016), ma anche per la modalità in cui la presenza dei cittadini comunitari, in particolare provenienti dall’Europa orientale, è stata tematizzata durante la campagna elettorale (Bidè, 2016; Somerville, 2016).

Ma guardando alla più recente storia dell’Unione Europea in quale misura la forte avversione dei britannici per i migranti provenienti da altri paesi dell’Unione Europea trova le sue origini in una gestione poco accorta dell’allargamento del 2004?

Il primo maggio 2004 segnò la più ampia espansione nella storia dell’Unione Europea che accrebbe il numero dei suoi Stati membri da 15 a 25. All’epoca dell’allargamento quasi tutti gli Stati imposero norme transitorie che restringevano l’accesso al mercato del lavoro agli allora cittadini neocomunitari appartenenti ai paesi A8 (i nuovi paesi con l’esclusione di Malta e Cipro) in un modello su periodi di 2+3+2 anni dove tali norme sono state riviste alla fine di ogni periodo da ogni singolo paese dell’assetto a 15 membri (EU-15). A fronte di Austria e Germania che scelsero di porre restrizioni nei confronti dei cittadini dei paesi A8 fino al 2011, altri tre, Svezia, Irlanda e Regno Unito, scelsero di non imporre alcun limite nell’accesso al mercato del lavoro (Koikkalainen, 2011) anche se gli ultimi due imposero restrizioni nell’accesso alle misure di welfare (Hughes, 2006).

Il dibattito pre-allargamento era stato, in effetti, animato dal timore che la concessione della libera circolazione a cittadini di paesi caratterizzate da livelli di benessere notevolmente inferiori a quelli degli Stati facenti parte di EU-15 avrebbe potuto portare a fenomeni di migrazione di massa. Le stime che erano circolate nel periodo precedente l’allargamento avevano ipotizzato un flusso iniziale di 330mila migranti comunitari per anno, destinati a scendere a 150mila nella seconda decade. Tali stime erano poi state riviste al ribasso, ipotizzando 325mila migranti comunitari l’anno che si sarebbero ridotti a 60mila alla fine del primo decennio (Hughes, 2006). Ulteriori stime dettagliate su base nazionale per il 2005 ipotizzavano l’afflusso verso il Regno Unito di un massimo di circa 12.600 neocomunitari l’anno, pari alla variante alta della stima (Dustmann et al. 2003; Boeri e Brücker, 2005). Un tale afflusso di migranti sarebbe stato pienamente funzionale all’economia britannica che si trovava a sperimentare una congiuntura particolarmente favorevole.

Il governo britannico fu così colto di sorpresa dalle conseguenze dell’allargamento: non solo i flussi furono parzialmente sottostimati, ma la presenza di misure transitorie nei principali paesi allora meta di flussi dagli A8 si tradusse in un repentino cambiamento nella geografia dei flussi stessi, che si orientarono in modo massiccio verso i paesi che aprirono i loro mercati del lavoro subito dopo l’allargamento. Alcuni studiosi ipotizzano che, nonostante la lunghissima storia del Regno Unito quale meta di flussi di lavoratori è probabile che l’allargamento abbia determinato la più grande ondata migratoria di sempre con 400mila ingressi nel solo 2005 (Salt e Miller, 2006; Galgóczi e al., 2009).

I numeri riportati nella tabella sotto mostrano come nel periodo intercorrente tra il 1 maggio 2004 e il 31 dicembre 2008 sono state approvate nel Regno Unito oltre 900mila domande presentate nell’ambito del WRS (Worker Registration Scheme) dedicato ai lavoratori da paesi A8. Tuttavia si stima che il numero di ingressi sia stato superiore, come segnalato da alcune ricerche che hanno evidenziato un’ampia proporzione di neocomunitari (tra il 10 e il 30%) non iscritti a tale schema (Galgóczi e al. 2009).

Tabella 1 – Numero di domande accettate nel Regno Unito relative al WRS (Worker Registration Scheme). 1 maggio 2004-31 dicembre 2008

2004 2005 2006 2007 2008 2004-2008
Rep. Ceca 8.255 10.575 8.345 7.510 6.520 41.205
Estonia 1.860 2.560 1.475 965 945 7.805
Ungheria 3.620 6.355 7.060 8.880 10.865 36.780
Lettonia 8.670 12.960 9.490 6.285 6.960 44.365
Lituania 19.275 22.990 17.065 14.265 11.535 85.130
Polonia 71.025 127.325 162.495 150.255 103.015 614.115
Slovacchia 13.020 22.035 21.755 22.450 18.310 97.570
Slovenia 160 175 180 190 195 900
Totale 125.885 204.970 227.875 210.800 158.340 927.870

Fonte: Home Office – UK Border Agency  (2009) p. 9

L’impatto dell’allargamento è stato tale da modificare in brevissimo tempo l’equilibrio nelle tradizionali rotte di emigrazione da un paese demograficamente ampio come la Polonia. Nel periodo 1999-2003 la Germania era stata la principale destinazione, meta di circa un terzo dei lavoratori polacchi, mentre la proporzione di coloro che si erano diretti verso il Regno Unito era stata inferiore al 10%. Nel triennio 2004-2006 la proporzione degli spostamenti verso la Germania scese al 18,9% mentre quella verso il Regno Unito salì al 31,4% rendendola il primo paese ricettore di flussi dalla Polonia. Il totale dei flussi dalla Polonia ai paesi che non avevano posto barriere (UK, Irlanda e Svezia) passò dal 12,1% al 42,4%. Qualcosa di simile è avvenuto anche per paesi demograficamente più piccoli come ad esempio per la Lettonia (D’Auria et al., 2008).

I più recenti dati Eurostat (2016) confermano che il cambiamento si è rivelato permanente: al 1° gennaio 2015 circa 870mila polacchi risiedono nel Regno Unito a fronte di 640mila stanziati in Germania e di circa 100mila in Olanda e Italia. Sul suolo britannico sono presenti nel 2015 anche un numero particolarmente elevato di residenti da paesi demograficamente “piccoli” dell’Unione Europea, ad esempio: 109mila lettoni, 173mila ciprioti, 159mila lituani.

È quanto mai evidente la relazione causale tra una tale ondata migratoria non prevista e non “arginabile”, perché determinata dall’adesione all’Unione Europea, i cui effetti si sono mostrati persistenti e il sentimento di critica nei confronti della libera circolazione accordata ai cittadini comunitari, emersa con evidenza durante la campagna elettorale, siano stati abilmente capitalizzati dai sostenitori del leave.

Le analisi post allargamento hanno infatti mostrato come nonostante gli ottimi livelli di istruzione dei cittadini A8 migrati nel Regno Unito la loro collocazione iniziale è stata nella gran parte dei casi in mansioni di tipo manuale nelle quali si sono trovati in diretta competizione con le fasce relativamente più svantaggiate di lavoratori britannici, proprio quelle che anni dopo sappiamo aver convintamente votato per l’uscita dall’Unione Europea (Galgóczi et al., 2009).

Nonostante la congiuntura economica europea sia ancora lontana dalle buone performances pre-crisi i movimenti migratori sono in ripresa, trainati dagli ingressi di cittadini provenienti da zone di guerra in cerca di protezione e opportunità, sia dai flussi misti provenienti da aree dove la povertà si mischia ad instabilità politica e terrorismo, ma anche dalle migrazioni interne di cittadini comunitari.

L’estrema selettività territoriale dei flussi migratori appare come un fattore di forte criticità che necessita un’efficace risposta a livello centrale. L’Unione Europea non è al momento in grado di dare una tale risposta poiché la sua competenza non si spinge fino a determinare il numero di cittadini di paesi terzi che uno Stato membro è disposto ad ammettere, flussi che sono liberamente determinati dagli Stati sovrani. Anche per questo è stato evidenziato come la crisi dei profughi sia anche una “crisi esistenziale” per l’Unione (MPI, 2016), che mostra l’inadeguatezza degli strumenti a sua disposizione al fine di una gestione tempestiva dei fattori di criticità legati al panorama migratorio del nostro tempo.

Il caso britannico, infine, insegna come i flussi migratori interni all’Unione e la loro pressione migratoria selettiva possano determinare sentimenti di forte critica verso l’Unione stessa. Quando la pressione migratoria verso uno Stato membro è forte essi non sono meno problematici di quelli provenienti da paesi terzi. La capacità di prevedere e amministrate tali flussi e le loro ricadute devono essere vagliate attentamente sia nella gestione dell’assetto attuale che nel futuro processo di ulteriore allargamento dell’Unione.

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BIBLIOGRAFIA

  1. Bidè J. (2016), The EU referendum debate is targeting Central-Eastern European migrants. The London School of Economics Brexit Blog 5/4/2016, http://blogs.lse.ac.uk/brexitvote/2016/04/05/the-eu-referendum-debate-is-targeting-central-eastern-european-migrants/
  2. Blangiardo G.C. (2016), Dal brexit all’Italexit?. Neodemos 12 luglio 201,6 http://www.neodemos.info/6061-2/
  3. Boeri T., Brücker H. (2005), Migration, Co-ordination Failures and EU Enlargement, IZA DP No. 1600.
  4. D’Auria F., Mc Morrow K., Pichelmann K. (2008), Economic impact of migration flows following the 2004 EU enlargement process: a model based analysis. European Economy, Economic Papers, 349
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  7. Eurostat (2016b), Record number of over 1.2 million first time asylum seekers registered in 2015. Syrians, Afghans and Iraqis: top citizenships. Eurostat Newsrelease 44/2016 – 4 March 2016
  8. Galgóczi B.,  Leschke J.,  Watt A. (2009), EU Labour Migration since Enlargement. Trends, Impacts and Policies. Farnham, Ashgate
  9. Hughes G. (2006), EU Enlargement and Ireland’s Experience of Migration from Central and Eastern Europe. Paper presented at IZA Workshop EU Enlargement and the Labour Markets Berlin, 30 November 2006, http://www.iza.org/conference_files/EULaMa2006/hughes_g3149.pdf
  10. Koikkalainen S., (2011), Free Movement in Europe: Past and Present. Migration Information Source Washington, DC: Migration Policy Institute. http://www.migrationpolicy.org/article/free-movement-europe-past-and-present
  11. Livi Bacci M. (2016), Brexit: la demografia, purtroppo, c’entra!, Neodemos 5 luglio 2016, http://www.neodemos.info/brexit-la-demografia-purtroppo-centra/
  12. MPI – Migration Policy Institute (2016), Europe’s Migration Crisis: A Status Report and the Way Forward. MPI Webinar 17/02/2016, http://www.migrationpolicy.org/multimedia/europes-migration-crisis-status-report-and-way-forward
  13. Salt J., Millar J. (2006), Foreign Labour in the United Kingdom: Current  Patterns and Trends, Labour Market Trends (October), 335-55.
  14. Somerville W. (2016), Brexit: The Role of Migration in the Upcoming EU Referendum, Migration Information Source Washington, DC: Migration Policy Institute, http://www.migrationpolicy.org/article/brexit-role-migration-upcoming-eu-referendum
  15. UK Border Agency (2009), Accession Monitoring Report May 2004 – March 2009 – A8 Countries. London: Home Office, http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20100422120657/http://www.ukba.homeoffice.gov.uk/sitecontent/documents/aboutus/reports/accession_monitoring_report/report-19/may04-mar09?view=Binary