Decreto legge Minniti in materia di immigrazione
Brevi note a proposito del decreto legge c.d. “Minniti” in materia di immigrazione
Il decreto (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonche’ per il contrasto dell’immigrazione illegale), convertito dal Senato con l’introduzione di modifiche e in attesa d’esame da parte della Camera, pur non affrontando organicamente – come del resto non si potrebbe fare con un decreto legge – le drammatiche questioni poste dagli imponenti flussi di richiedenti asilo che stanno interessando il nostro paese, contiene comunque misure di un certo rilievo e controverse.
Al di là delle perplessità per l’uso di un tale strumento – il decreto legge – in ordine a una situazione grave ma stabilmente tale ormai da molto tempo e che perciò avrebbe potuto e potrebbe essere meglio affrontata con legge ordinaria, va anzitutto osservato che il decreto mira a migliorare la gestione dei flussi dei richiedenti asilo con riguardo ad alcuni snodi particolari:
- l’identificazione dei migranti negli hotspots;
- l’esame delle richieste d’asilo da parte delle commissioni;
- l’organizzazione giudiziaria con riguardo al contenzioso in materia di immigrazione;
- la disciplina del processo sulle decisioni delle commissioni in materia d’asilo;
- il trattenimento delle persone destinate all’espulsione;
- l’impiego dei richiedenti asilo in lavori socialmente utili.
L’insieme è assai eterogeneo. Tuttavia per lo più emerge quale tratto comune l’obbiettivo di accrescere la velocità e l’efficienza di determinati passaggi procedurali.
Le disposizioni in materia d’esame delle richieste d’asilo da parte delle commissioni toccano alcuni passaggi – le notifiche, l’audizione – alla scopo di semplificare e accelerare l’iter. Nella stessa linea, le disposizioni sui processi in caso di ricorso contro le decisioni delle commissioni sull’asilo semplificano il rito – prevedendosi come regola la camera di consiglio – e cancellano la possibilità di appello contro la decisione di primo grado lasciando solo la chance del ricorso in Cassazione.
In proposito va osservato che l’esigenza di maggiore celerità è indubbia, poiché attualmente non di rado ci vogliono anni per arrivare ad avere una decisione definitiva sulla domanda d’asilo, con effetti negativi per gli interessi dei richiedenti, che restano a lungo nell’incertezza, così come per le istituzioni, chiamate ad assistere persone che potrebbero non aver diritto alla protezione e poi ad espellere chi non ha diritto col paradosso di colpire persone da anni in Italia e inserite spesso in percorsi d’integrazione.
Gli interrogativi si concentrano però sul “come” il decreto legge interviene. Non si potenziano le commissioni, si agisce invece come si è visto sulla disciplina del relativo procedimento, semplificando. Il rischio è quello di ridurre le garanzie in giudizi comunque di estrema delicatezza. È in ogni caso auspicabile che si realizzi un attento monitoraggio della nuova disciplina per cogliere immediatamente le eventuali criticità e intervenire su di esse.
Considerazioni analoghe valgono anche per le nuove disposizioni processuali. Invero con una modifica in sede di conversione si è data peraltro al richiedente asilo la chance di essere ascoltato dal tribunale e si è previsto che la decisione sia collegiale. Al riguardo, si evidenzia l’introduzione dell’articolo 6-bis il quale prevede che, in sede di colloquio, il richiedente possa formulare istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione. Sull’istanza decide la Commissione territoriale con provvedimento non impugnabile.
Infine l’emendamento introduce modifiche in materia di udienza prevedendo che essa sia disposta quando ricorra almeno una delle seguenti ipotesi: a) la videoregistrazione non è disponibile; b) l’interessato ne abbia fatto motivata richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice, sulla base delle motivazioni esposte dal ricorrente, ritenga la trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione; c) l’impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado.
Restano però perplessità sul versante delle garanzie, considerato anche il venir meno della possibilità d’appello ordinariamente prevista dal nostro sistema proprio in funzione di garanzia. Il processo in materia di asilo deve essere celere, ma non deve configurarsi come un rito di “minor tutela” considerata tra l’altro la delicatezza degli interessi che vengono in considerazione.
Quale strumento non solo di velocizzazione ma anche di miglioramento dei processi decisionali può piuttosto apprezzarsi la modifica dell’organizzazione giudiziaria con riguardo al contenzioso in generale in materia di immigrazione, consistente nella previsione di sezioni dei tribunali specializzate in tale materia (14 nel decreto legge opportunamente portate a 26 in sede di conversione).
Quanto alle disposizioni in materia di hotspots e di trattenimento, la loro frammentarietà rende obbiettivamente difficile una valutazione. Invero, in materia di hotspot si è in attesa di una legge che vada a disciplinare un passaggio estremamente delicato del percorso del migrante dove diritti fondamentali – quello alla libertà, quello alla dignità, quello di chiedere asilo – sono in qualche modo inevitabilmente a rischio. Ancora si procede sulla base di linee guida ministeriali: una disciplina con legge appare ineludibile, al di là di misure come quelle del presente decreto volte a facilitare l’identificazione. Venendo poi al trattenimento, la filosofia del decreto è quella di rilanciare i relativi centri – che da CIE vengono ridenominati CPR – sviluppando un sistema andato a ridursi col passare degli anni. Ancora una volta l’obbiettivo è quello di accrescere l’efficienza, in questo caso relativamente ai procedimenti d’espulsione. Comprensibili, peraltro, le perplessità di molti osservatori essendo che in passato troppe volte il trattenimento nei CIE si è rivelato afflizione inutile ai fini dell’espulsione. Da apprezzare, comunque, la modifica introdotta in sede di conversione che prevede che l’accessibilità dei nuovi CPR a controlli “esterni” sulle condizioni di vita sia per lo meno analoga a quella garantita per le carceri.
Un cenno, infine, merita l’indicazione di cui al decreto per un impego dei richiedenti asilo in lavori socialmente utili. Qui la logica è più complessa: ancora in un certo senso si ragiona anche in termini di efficienza, in questo caso nell’accoglienza, ma più in generale vengono in rilievo esigenze di integrazione dei richiedenti asilo e di “accettazione sociale” della loro presenza. Di per sé l’idea è apprezzabile. Peraltro, considerata anche la passata esperienza del nostro Paese in materia di impegno di lavoratori in attività socialmente utili, non priva di ombre, l’approccio andrà sviluppato con grande attenzione. Si dovrà fare in modo che davvero per quanto possibile i lavori siano effettivamente “utili”. Si dovrà evitare anche solo il sospetto che il lavoro gratuito dei migranti vada a sostituire quello ad esempio di cooperative che impiegano soggetti svantaggiati, onde evitare dinamiche all’insegna della “guerra tra poveri”.
Ennio Codini e Marina D’odorico – Settore Legislazione